IL FEDELE AMICO DELL'UOMO
I. Asimov
Titolo originale: A Boy's Best Friend (1975)
«Dov'è Jimmy,
cara?» chiese il signor Anderson.
«Sul cratere» disse la signora Anderson. «Non
gli succederà niente, c'è Robotolo con lui... è
arrivato?»
«Sì. È alla base d'atterraggio dei razzi, lo
stanno sottoponendo ai vari test. A dire la verità anch'io
non vedo l'ora
di vederlo. Non ne ho visto più uno da quando ho lasciato la Terra, quindici
anni fa,
se escludo le
immagini dei film, che però non contano.»
«Jimmy non ne ha mai visto uno» disse la
signora Anderson. «Perché é nato sulla Luna e non può
visitare la
Terra. È per questo che ne ho fatto venire uno qui. Credo sia il primo che
mette piede
sulla Luna.»
«È costato parecchio» disse la signora Anderson,
con un breve sospiro.
«Non è che costi poco nemmeno mantenere
Robotolo» disse il signor Anderson.
Jimmy era sul
cratere, come aveva detto sua madre. Secondo il metro di valutazione terrestre
era un
ragazzino
esile, ma abbastanza alto per i suoi dieci anni. Aveva braccia e gambe lunghe e
agili. Sembrava più
grosso e tarchiato con la tuta spaziale indosso, ma nella gravità lunare si
destreggiava molto meglio di
qualsiasi persona nata sulla Terra. Quando Jimmy, tendendo le gambe, spiccava
il salto del
canguro, suo padre non riusciva neanche lontanamente a stargli dietro. Il lato esterno del cratere scendeva verso sud
e la Terra, che era bassa nel cielo, a sud (dove si
trovava sempre, vista da Lunar City), era quasi piena, sicché tutto il pendio
era vivamente
illuminato. Il declivio era dolce e Jimmy, nonostante il peso della tuta, non
poté
resistere alla
tentazione di slanciarsi in su con un grande balzo che gli fece sembrare inesistente la
gravità.
«Vieni Robotolo!» gridò.
Robotolo, cui la voce del bambino giungeva
attraverso la radio, guaì e si buttò a rincorrerlo. Per quanto esperto, Jimmy non riusciva a
battere Robotolo, che non aveva bisogno della tuta e aveva quattro
zampe e tendini d'acciaio. Robotolo con un salto sorvolò Jimmy, fece una capriola
e atterrò quasi
capovolto.
«Non esagerare con le prodezze, Robotolo»
disse il bambino «e non allontanarti dalla vista.»
Robotolo guaì di nuovo, con quel guaito
particolare che significava "Sì".
«Non mi fido di
te, birbante» gridò Jimmy, e spiccò un ultimo salto che gli fece superare
l'orlo arrotondato del
cratere e lo portò sulla parete interna.
La Terra
scomparve dietro la cima del pendio, e d'un tratto intorno al bambino fu buio
pesto.
Un'oscurità
calda e amichevole che, se non fosse stato per le stelle luccicanti, avrebbe
cancellato del
tutto la
differenza fra il suolo e il cielo. In realtà Jimmy non avrebbe dovuto giocare
lungo il lato buio della parete del cratere. Gli adulti dicevano che
era pericoloso, ma lo dicevano perché non ci andavano mai. Il terreno era
liscio e friabile e
Jimmy sapeva bene dove si trovassero le poche rocce presenti.
E poi, come poteva essere pericoloso correre
nel buio quando c'era con lui Robotolo, che saltellava e
guaiva e faceva luce tutt'intorno? Anche senza luce avrebbe potuto dirgli dove
si trovava e
dov'era lui stesso; con il radar. A Jimmy non poteva succedere niente finché
aveva accanto il suo
amico che lo bloccava quando capitava troppo vicino a una roccia, gli piantava
le zampe addosso
per dimostrargli il suo affetto, e si aggirava qui e là senza posa uggiolando
piano e fingendosi
spaventato quando Jimmy sì nascondeva dietro un masso la cui ubicazione
Robotolo conosceva
benissimo. Una volta Jimmy si era messo a giacere immobile, dando ad intendere
di essere ferito,
e Robotolo aveva suonato l'allarme radio, facendo arrivare in gran fretta la
gente di Lunar City. Il padre
di Jimmy aveva rimproverato Robotolo per quello scherzetto, e Jimmy si era
ben guardato
dal ripeterlo. Proprio mentre stava ripensando a queste cose,
il ragazzo senti la voce di suo padre sulla sua lunghezza
d'onda personale. «Jimmy, torna a casa. Ho una cosa da dirti.»
Jimmy sì tolse
la tuta spaziale e si lavò. Bisognava sempre lavarsi, quando si veniva dal di
fuori. Perfino
Robotolo doveva farlo ma gli piaceva. Se ne stava ritto sulle quattro zampe,
col piccolo corpo lungo una
trentina di centimetri che luccicava, la testa senza bocca, due grandi occhi
vitrei e il bernoccolo
contenente il cervello che tremava un poco. Guaiva insistentemente, finché la
signoraAnderson
diceva:
«Buono,
Robotolo,>.
«Abbiamo qualcosa per te, Jimmy» disse il
signor Anderson, sorridente. «Adesso si trova alla base di
atterraggio, ma l'avremo qui domani, dopo che i test saranno terminati. Ho
pensato di dirtelo fin da ora.»
«Qualcosa che viene dalla Terra, papà?»
«Sì, figliolo, un cane. Un cane vero. Un
cucciolo di terrier scozzese. Il primo cane che sia mai arrivato sulla
Luna. Non avrai più bisogno di Robotolo. Sai, non possiamo tenerli entrambi, e Robotolo andrà
a qualche altro bambino.» Fece una pausa, come aspettando che Jimmy dicesse qualcosa, poi
continuò: «Sai che cos'è un cane, Jimmy? E’ l'originale, la creatura vera.
Robotolo è solo
un'imitazione meccanica, un botolo,robot. E da lì che viene il nome».
Jimmy aggrottò la fronte. «Robotolo non è
un'imitazione, papà. È il mio cane.»
«Non è un animale in carne e ossa, Jimmy. È
solo acciaio, fili, e semplice cervello positronico. Non é vivo.»
«Fa tutto quello che gli dico di fare, papà.
Mi capisce. Davvero, è vivo.»
«No, figliolo. Robotolo è solo una macchina. È
stato programmato a comportarsi come si comporta. Un
cane invece è vivo veramente. Non sentirai la mancanza di Robotolo dopo che
avrai visto il
cucciolo.»
«Al cane occorrerà una tuta spaziale, no?»
«Si, naturale. Ma varrà la pena spendere i
soldi che costa, e vedrai che il cane ci si abituerà. E poi non ne avrà
bisogno dentro Lunar City. Ti accorgerai della differenza, quando l'avrai qui.»
Jimmy guardò Robotolo, che aveva ricominciato
a guaire piano, molto piano, come se fosse spaventato.
Tese le braccia e Robotolo gli corse incontro. «Che differenza c'è tra avere
Robotolo e avere il cane?»
disse Jimmy.
«È difficile da spiegare» disse il signor
Anderson «ma te ne accorgerai subito. Il cane ti amerà sul serio. Robotolo
è solo condizionato ad agire come se ti amasse.»
«Ma papà, non sappiamo mica cosa c'è dentro il
cane, o quali sono i suoi sentimenti. Forse anche
lui finge.»
Il signor Anderson aggrottò la fronte. «Jimmy,
capirai la differenza quando avrai visto con i tuoi occhi cosa sia
l'affetto che ti può dare un essere vivente.»
Jimmy strinse forte al petto Robotolo. Anche
lui, come il padre, era corrucciato, e dall'espressione determinata che
gli si leggeva in viso s'intuiva che non avrebbe cambiato idea. Disse: «Ma che differenza fa
tra il comportamento dell'uno e quello dell'altro? E non pensi a quello che
sento io ?
Voglio bene a
Robotolo, ed è solo questo che conta». E il piccolo
botolo,robot, che non era mai stato abbracciato così forte in tutta la sua
esistenza, emise una serie di
rapidi acuti guaiti. Guaiti di felicità.