martedì 27 maggio 2014
domenica 18 maggio 2014
giovedì 15 maggio 2014
domenica 11 maggio 2014
giovedì 8 maggio 2014
EQUAL RIGHT EQUAL OPPORTUNITY - EDUCATION AND DISABILITY
SETTIMANA GLOBALE DI MOBILITAZIONE
4 - 10 MAGGIO 2014
"OUTDOOR DI LETTURE DIVERSAMENTE ACCATTIVANTI...NEL MAGGIO DEI LIBRI"
"OUTDOOR DI LETTURE DIVERSAMENTE ACCATTIVANTI...NEL MAGGIO DEI LIBRI"
GUARDA IL VIDEO...
venerdì 2 maggio 2014
giovedì 1 maggio 2014
giovedì 24 aprile 2014
sabato 19 aprile 2014
giovedì 10 aprile 2014
sabato 5 aprile 2014
giovedì 3 aprile 2014
VEN 21.03.2014: Giornata Mondiale contro il Razzismo
Con lo slogan “Ri-FIUTO il razzismo, Accolgo la
diVERSIta'!” e con questa fotografia scattata venerdì 21 marzo 2014, noi ragazzi del
Laboratorio d’Ascolto dell’Istituto Comprensivo di Loreto Aprutino abbiamo partecipato alla Giornata Mondiale contro il Razzismo.
In occasione dell’evento abbiamo invitato, presso il
nostro istituto, il primo cinofilo italiano, Aldo La Spina, che ha condiviso la
sua esperienza di pedagogista dei cani con noi, aiutandoci a conoscerli meglio.
Con lui abbiamo riflettuto sul significato di educazione, ben diverso da quello
di addestramento: il cane deve apprendere delle abitudini di vita che possano
essere rispettose della sua natura ma anche di quella delle persone che lo
circondano. Siamo rimasti colpiti dal fatto che i nostri amici a quattro zampe
riconoscono, attraverso l'olfatto e l'udito, ciò che noi umani stentiamo a
comprendere, nonostante la nostra cultura e la nostra ragione! Inoltre, si è
scoperto da poco che, con il fiuto, i cani possono percepire la presenza di una
grave malattia nelle persone. Anche se questa, per ora, è solo un’ipotesi, la
nostra disability manager, psicologa del gruppo, ci ha spiegato che è realmente
così: i cani sentono il dolore delle persone! Proprio questa empatia olfattivo-
emotiva, da cui nasce il nostro slogan, ci ha spinti a voler “sentire” l’altro
in prima persona, sperimentando cosa si prova a stare su una sedia a rotelle.
Così, alternandoci, spinti dai compagni, abbiamo svolto un percorso nel nostro
giardino scolastico.
Anche noi crediamo fortemente che “chiudere con il
razzismo” significa “aprirsi al mondo” e quindi dobbiamo imparare ad accogliere
l'altro, per comprenderlo e apprezzarlo di più, scoprendo quanto di speciale
c’è in lui e imparando a cercarlo anche in noi.
venerdì 21 marzo 2014
Nuova lettura....
IL FEDELE AMICO DELL'UOMO
I. Asimov
Titolo originale: A Boy's Best Friend (1975)
«Dov'è Jimmy,
cara?» chiese il signor Anderson.
«Sul cratere» disse la signora Anderson. «Non
gli succederà niente, c'è Robotolo con lui... è
arrivato?»
«Sì. È alla base d'atterraggio dei razzi, lo
stanno sottoponendo ai vari test. A dire la verità anch'io
non vedo l'ora
di vederlo. Non ne ho visto più uno da quando ho lasciato la Terra, quindici
anni fa,
se escludo le
immagini dei film, che però non contano.»
«Jimmy non ne ha mai visto uno» disse la
signora Anderson. «Perché é nato sulla Luna e non può
visitare la
Terra. È per questo che ne ho fatto venire uno qui. Credo sia il primo che
mette piede
sulla Luna.»
«È costato parecchio» disse la signora Anderson,
con un breve sospiro.
«Non è che costi poco nemmeno mantenere
Robotolo» disse il signor Anderson.
Jimmy era sul
cratere, come aveva detto sua madre. Secondo il metro di valutazione terrestre
era un
ragazzino
esile, ma abbastanza alto per i suoi dieci anni. Aveva braccia e gambe lunghe e
agili. Sembrava più
grosso e tarchiato con la tuta spaziale indosso, ma nella gravità lunare si
destreggiava molto meglio di
qualsiasi persona nata sulla Terra. Quando Jimmy, tendendo le gambe, spiccava
il salto del
canguro, suo padre non riusciva neanche lontanamente a stargli dietro. Il lato esterno del cratere scendeva verso sud
e la Terra, che era bassa nel cielo, a sud (dove si
trovava sempre, vista da Lunar City), era quasi piena, sicché tutto il pendio
era vivamente
illuminato. Il declivio era dolce e Jimmy, nonostante il peso della tuta, non
poté
resistere alla
tentazione di slanciarsi in su con un grande balzo che gli fece sembrare inesistente la
gravità.
«Vieni Robotolo!» gridò.
Robotolo, cui la voce del bambino giungeva
attraverso la radio, guaì e si buttò a rincorrerlo. Per quanto esperto, Jimmy non riusciva a
battere Robotolo, che non aveva bisogno della tuta e aveva quattro
zampe e tendini d'acciaio. Robotolo con un salto sorvolò Jimmy, fece una capriola
e atterrò quasi
capovolto.
«Non esagerare con le prodezze, Robotolo»
disse il bambino «e non allontanarti dalla vista.»
Robotolo guaì di nuovo, con quel guaito
particolare che significava "Sì".
«Non mi fido di
te, birbante» gridò Jimmy, e spiccò un ultimo salto che gli fece superare
l'orlo arrotondato del
cratere e lo portò sulla parete interna.
La Terra
scomparve dietro la cima del pendio, e d'un tratto intorno al bambino fu buio
pesto.
Un'oscurità
calda e amichevole che, se non fosse stato per le stelle luccicanti, avrebbe
cancellato del
tutto la
differenza fra il suolo e il cielo. In realtà Jimmy non avrebbe dovuto giocare
lungo il lato buio della parete del cratere. Gli adulti dicevano che
era pericoloso, ma lo dicevano perché non ci andavano mai. Il terreno era
liscio e friabile e
Jimmy sapeva bene dove si trovassero le poche rocce presenti.
E poi, come poteva essere pericoloso correre
nel buio quando c'era con lui Robotolo, che saltellava e
guaiva e faceva luce tutt'intorno? Anche senza luce avrebbe potuto dirgli dove
si trovava e
dov'era lui stesso; con il radar. A Jimmy non poteva succedere niente finché
aveva accanto il suo
amico che lo bloccava quando capitava troppo vicino a una roccia, gli piantava
le zampe addosso
per dimostrargli il suo affetto, e si aggirava qui e là senza posa uggiolando
piano e fingendosi
spaventato quando Jimmy sì nascondeva dietro un masso la cui ubicazione
Robotolo conosceva
benissimo. Una volta Jimmy si era messo a giacere immobile, dando ad intendere
di essere ferito,
e Robotolo aveva suonato l'allarme radio, facendo arrivare in gran fretta la
gente di Lunar City. Il padre
di Jimmy aveva rimproverato Robotolo per quello scherzetto, e Jimmy si era
ben guardato
dal ripeterlo. Proprio mentre stava ripensando a queste cose,
il ragazzo senti la voce di suo padre sulla sua lunghezza
d'onda personale. «Jimmy, torna a casa. Ho una cosa da dirti.»
Jimmy sì tolse
la tuta spaziale e si lavò. Bisognava sempre lavarsi, quando si veniva dal di
fuori. Perfino
Robotolo doveva farlo ma gli piaceva. Se ne stava ritto sulle quattro zampe,
col piccolo corpo lungo una
trentina di centimetri che luccicava, la testa senza bocca, due grandi occhi
vitrei e il bernoccolo
contenente il cervello che tremava un poco. Guaiva insistentemente, finché la
signoraAnderson
diceva:
«Buono,
Robotolo,>.
«Abbiamo qualcosa per te, Jimmy» disse il
signor Anderson, sorridente. «Adesso si trova alla base di
atterraggio, ma l'avremo qui domani, dopo che i test saranno terminati. Ho
pensato di dirtelo fin da ora.»
«Qualcosa che viene dalla Terra, papà?»
«Sì, figliolo, un cane. Un cane vero. Un
cucciolo di terrier scozzese. Il primo cane che sia mai arrivato sulla
Luna. Non avrai più bisogno di Robotolo. Sai, non possiamo tenerli entrambi, e Robotolo andrà
a qualche altro bambino.» Fece una pausa, come aspettando che Jimmy dicesse qualcosa, poi
continuò: «Sai che cos'è un cane, Jimmy? E’ l'originale, la creatura vera.
Robotolo è solo
un'imitazione meccanica, un botolo,robot. E da lì che viene il nome».
Jimmy aggrottò la fronte. «Robotolo non è
un'imitazione, papà. È il mio cane.»
«Non è un animale in carne e ossa, Jimmy. È
solo acciaio, fili, e semplice cervello positronico. Non é vivo.»
«Fa tutto quello che gli dico di fare, papà.
Mi capisce. Davvero, è vivo.»
«No, figliolo. Robotolo è solo una macchina. È
stato programmato a comportarsi come si comporta. Un
cane invece è vivo veramente. Non sentirai la mancanza di Robotolo dopo che
avrai visto il
cucciolo.»
«Al cane occorrerà una tuta spaziale, no?»
«Si, naturale. Ma varrà la pena spendere i
soldi che costa, e vedrai che il cane ci si abituerà. E poi non ne avrà
bisogno dentro Lunar City. Ti accorgerai della differenza, quando l'avrai qui.»
Jimmy guardò Robotolo, che aveva ricominciato
a guaire piano, molto piano, come se fosse spaventato.
Tese le braccia e Robotolo gli corse incontro. «Che differenza c'è tra avere
Robotolo e avere il cane?»
disse Jimmy.
«È difficile da spiegare» disse il signor
Anderson «ma te ne accorgerai subito. Il cane ti amerà sul serio. Robotolo
è solo condizionato ad agire come se ti amasse.»
«Ma papà, non sappiamo mica cosa c'è dentro il
cane, o quali sono i suoi sentimenti. Forse anche
lui finge.»
Il signor Anderson aggrottò la fronte. «Jimmy,
capirai la differenza quando avrai visto con i tuoi occhi cosa sia
l'affetto che ti può dare un essere vivente.»
Jimmy strinse forte al petto Robotolo. Anche
lui, come il padre, era corrucciato, e dall'espressione determinata che
gli si leggeva in viso s'intuiva che non avrebbe cambiato idea. Disse: «Ma che differenza fa
tra il comportamento dell'uno e quello dell'altro? E non pensi a quello che
sento io ?
Voglio bene a
Robotolo, ed è solo questo che conta». E il piccolo
botolo,robot, che non era mai stato abbracciato così forte in tutta la sua
esistenza, emise una serie di
rapidi acuti guaiti. Guaiti di felicità.
domenica 16 marzo 2014
Orzowei di Alberto Manzi
Isa,
il bambino bianco trovato nella foresta, viene allevato dai Bantù.
"Dai, prendetelo!... prendetelo!..."
Nella foga della corsa una pentola fu rovesciata e Amebais, la vecchia ubriacona, uscì dalla capanna urlando imprecazioni contro quei demoni che buttavano tutto all'aria.
"Non c'è più tranquillità, no! Ma se vi prendo vi farò frustare tutti!" urlò rivolta al gruppo dei ragazzi che correvano verso la foresta.
Ma questi non le badavano.
Un po' perché Amebais era sempre stata una pazza brontolona; ma, maggiormente, perché la loro caccia era interessante.
La selvaggina era rappresentata da Isa, il ragazzo che Amûnai aveva portato dalla foresta.
Amûnai, il Ring-kop (che significa: il grande guerriero), l'aveva trovato nove, dieci anni prima, avvolto in una fascia rossa in una cesta appesa ad un grosso ramo. La cesta era stata legata in maniera che né serpenti, né belve potevano raggiungerla.
L'aveva preso con sé, e portato al villaggio.
La vecchia Amebais aveva dovuto fargli da madre, ma adempì al suo compito fin quando il ragazzo non fu in grado di trovarsi qualcosa da mangiare tra i rifiuti del villaggio. La sua avarizia non le permetteva di più.
E fino a che Amûnai fu il capo, Isa - questo era il nome che gli avevano dato - Isa, dunque, ebbe di che sfamarsi e fu trattato con rispetto.
Ma allorché il Ring-kop perse il comando, Isa dovette arrangiarsi per vivere.
Era trattato così per un solo motivo: perché era un bianco; se bianca poteva dirsi quella pelle bruciata dal sole e dal vento.
Isa era ora nel suo undicesimo anno di vita; età in cui i nostri ragazzi son capaci soltanto di portare la cartella a scuola e d'imparare qualche lezione a memoria.
Ma per Isa la vita era stata dura; e se non sapeva leggere, né scrivere, sapeva però tante altre cose che gli permettevano di vivere, sia pure stentatamente, tra il disprezzo del villaggio e la "grande padrona": la foresta.
Oltre tutto Isa era schernito e assalito dagli altri ragazzi. E doveva difendersi dalle loro crudeltà, prendendone spesso a sangue, fino a che non sopraggiungeva a liberarlo qualche uomo del villaggio. Solo allora la masnada lo lasciava pesto e sanguinante sul terreno.
Oppure fuggiva, se poteva.
E mentre gli altri lo cercavano, egli se ne stava immobile acquattato in un cespuglio, respirando appena.
Per questo Isa era un ribelle.
Solo la frusta gli incuteva timore. Ma ormai si era assuefatto anche a quella.
"Dai, dai, prendetelo!... prendetelo!..."
I ragazzi lo stavano inseguendo.
Quale gioco più bello per dei futuri cacciatori che inseguire una preda viva?
Isa correva velocemente su lo scosceso terreno.
Aveva un buon distacco. Le lunghe cacce lo
avevano reso veloce, pronto. Se avesse voluto, avrebbe distaccato di molto gli inseguitori per poi rifugiarsi tranquillamente su qualche albero e lì giocare a tirar frutta e rami secchi alle scimmie.
Ma non voleva.
Anzi, rallentò.
Avanti a tutti veniva Mései, il nipote dello stregone. Mései che da anni lo tormentava; Mései che lo derideva sempre. Specialmente da quando non era considerato più Um-fan, un ragazzo portatore, ma un aspirante guerriero.
Fra poco egli avrebbe fatto la sua "prova" e se fosse riuscito avrebbe avuto la sua lancia e il suo tucul.
Isa, invece, era stato scacciato persino dagli Um-fan.
Non poteva seguire il villaggio alla guerra o alla caccia neppure come portatore.
Egli era un "orzowei", uno sciacallo d'uomo, un niente.
Era bianco.
Rallentò. Gli altri gridarono, certi della buona riuscita della caccia. Ma lui sorrise; voleva stancarli, farli cadere uno per volta con la lingua ciondoloni.
Mései era ormai a pochi passi.
"Sei preso!" gridò. "Sei preso! Ti metteremo al palo, oggi!"
Urlavano tutti di gioia.
Improvvisamente Isa sentì il terreno cedergli sotto i piedi; barcollò, cadde. Mései con due salti gli fu sopra e gli puntellò le spalle con le magre ginocchia.
"Sei preso" ansimò. "Muoviti ora!"
Isa si divincolava, ma l'avversario era robusto. Mangiava tutti i giorni, lui.
Gli altri li avevano raggiunti, ma ad un cenno di Mései si fermarono in circolo.
"Oggi è la mia preda. Mi voglio divertire io. Alzati, 'orzowei'!"
Lentamente Isa si alzò.
Con mossa fulminea Mései gli piombò addosso facendolo rotolare nuovamente in terra.
Un coro di risate salutò il ruzzolone.
"Alzati, su!" gridò ridendo Mései.
Isa doveva aver battuto contro qualche sasso.
Sentiva un forte dolore alla schiena.
Si tirò su pian piano, ma l'avversario fu lesto a colpirlo con un pugno. Barcollò; ma pur venendo colpito nuovamente, riuscì ad afferrarlo. Si avvinghiarono rotolando sul terreno.
E come uno riusciva a metter l'altro con le spalle a terra, colpiva, coi pugni stretti, sugli occhi, sul naso, ovunque.
Quando Isa riuscì a rimanere a lungo su Mései, qualcuno, raccolta della sabbia, gliela gettò negli occhi.
Abbandonò la presa e Mései ne approfittò.
Con un sasso lo colpì ripetutamente, finché non lo vide esanime, mentre un rivolo di sangue usciva dalle ferite.
Allora tutti fuggirono.
Solo a notte tarda Isa rientrò nel villaggio.
La luna era già alta nel cielo ed illuminava le capanne conferendo loro un aspetto fiabesco.
Il ragazzo si trascinò fin verso il tucul del vecchio Amûnai.
"Sono io" mormorò.
"Entra. Cosa ti è accaduto?"
"Il pugno di Mései mi ha colpito" rispose. "Nel pugno stringeva una pietra. Ora la testa mi fa molto male."
"Fai vedere."
Il vecchio s'alzò dal giaciglio e ravvivò il fuoco. Poi osservò la ferita.
"Un bel colpo. Potevi morire. Chi ti ha aiutato?"
"Nessuno. Non ho compreso nulla fin che il freddo non m'ha svegliato. E son venuto da te."
"Hai perso molto sangue."
Gli fasciò la ferita dopo avergliela medicata con un decotto di erbe.
"Domani sarai a posto, se gli spiriti del male non ti verranno a trovare. Dormi, ora."
venerdì 14 marzo 2014
giovedì 13 marzo 2014
sabato 8 marzo 2014
giovedì 6 marzo 2014
venerdì 14 febbraio 2014
...A VOI LA PAROLA!
CARI RAGAZZI,
COME PROMESSO VI INVITIAMO AD ESPRIMERVI SUL TEMA DELLA PAURA E NELLO SPECIFICO DELLA PAURA DEL GIUDIZIO.
DITECI LA VOSTRA CON UNA FRASE, UN PENSIERO O ANCHE CON UNA SOLA PAROLA... AVETE MAI PROVATO PAURA? DI COSA? VI PREOCCUPA IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI?
VI RICORDIAMO, SE PREFERITE, CHE POTETE ESPRIMERVI ANCHE CON UNA POESIA O CON IL TESTO DI UNA CANZONE CHE RISPECCHIA I VOSTRI PENSIERI.
COME PROMESSO VI INVITIAMO AD ESPRIMERVI SUL TEMA DELLA PAURA E NELLO SPECIFICO DELLA PAURA DEL GIUDIZIO.
DITECI LA VOSTRA CON UNA FRASE, UN PENSIERO O ANCHE CON UNA SOLA PAROLA... AVETE MAI PROVATO PAURA? DI COSA? VI PREOCCUPA IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI?
VI RICORDIAMO, SE PREFERITE, CHE POTETE ESPRIMERVI ANCHE CON UNA POESIA O CON IL TESTO DI UNA CANZONE CHE RISPECCHIA I VOSTRI PENSIERI.
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L'URLO di MUNCH |
giovedì 13 febbraio 2014
martedì 11 febbraio 2014
INVITO ALLA RIFLESSIONE
CARI RAGAZZI,
DATO CHE A VOLTE NON E' POSSIBILE ASCOLTARVI TUTTI, CI PIACEREBBE CHE COMMENTASTE IL VIDEO CONDIVISO VENERDI' (clicca sul link in basso) E LA STORIA "I SETTE CAVALIERI DEI COLORI", RACCONTANDOCI I SENTIMENTI CHE VI HANNO ISPIRATO.
... E RICORDATE: LE DIFFERENZE DANNO SEMPRE LUOGO A QUALCOSA DI BELLO, DI NUOVO... CI COMPLETANO!
sabato 8 febbraio 2014
venerdì 7 febbraio 2014
domenica 2 febbraio 2014
sabato 25 gennaio 2014
mercoledì 22 gennaio 2014
... DI CHE COLORE E' IL TUO CAPPELLO??
attività tratta dal libro di Edward De Bono "Sei cappelli per pensare"
COMPITI PER venerdì 24.01.2014:
PORTARE TESTA E... CAPPELLO!!
lunedì 20 gennaio 2014
venerdì 10 gennaio 2014
Primo Incontro:10.01.2014
STUDENTI PRESENTI:
11 SCUOLA PRIMARIA
16 SCUOLA SECONDARIA
GENITORI PRESENTI: 4
DOCENTI PRESENTI:
3 SCUOLA PRIMARIA
1 SCUOLA SECONDARIA
PSICOLOGA E DISABILITY MANAGER
DIRIGENTE SCOLASTICA
EX STUDENTESSA LICEO DELLE SCIENZE SOCIALI DI CITTA' SANT'ANGELO
ORE 15,30/17.00
CON I RAGAZZI:"PRESENTIAMOCI E...PROPONIAMO"
ORE 17,00/ 17.45
FEEDBACK CON GLI ADULTI
martedì 7 gennaio 2014
Gli incontri del venerdì
“Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della
frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte. Ogni
viaggio implica, più o meno, una simile esperienza: qualcuno o qualcosa che
sembrava vicino e ben conosciuto si rivela straniero e indecifrabile, oppure un
individuo, un paesaggio, una cultura che ritenevamo diversi e alieni si
mostrano affini e parenti. Alle genti di una riva quelle della riva opposta
sembrano spesso barbare, pericolose e piene di pregiudizi nei confronti di chi
vive sull’altra sponda. Ma se ci si mette a girare su e giù per un ponte,
mescolandosi alle persone che vi transitano e andando da una riva all’altra
fino a non sapere più bene da quale parte o in quale paese si sia, si ritrova
la benevolenza per se stessi e il piacere del mondo.” Claudio Magris
"L'infinito viaggiare"
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